Spinto dal padre Teodoro, iniziò giovanissimo a suonare il violino. Si trasferì a Milano dove frequentò il Conservatorio Musicale, diventando un valente violinista. Assiduo frequentatore del laboratorio di Leandro Bisiach, entrò in contatto verso i trent'anni con i fratelli Antoniazzi, dai quali ebbe le prime lezioni di liuteria. Un po' disordinato e perseguitato dalla malasorte, lavorò a Crema, Milano, Lodi, Bergamo, costruendo un migliaio di violini, una quindicina di viole e una decina di violoncelli, di preferenza modello Stradivari dell'ultima maniera. Usò anche legno nostrano per i fondi. Usò vernice per lo più a spirito ma anche ad olio, di preferenza di colore giallo o giallo arancione. Riparò anche qualche strumento antico. Furono suoi alunni i figli Tullio e Manlio, il che spiega il gran numero di strumenti prodotti. Tre suoi violini, anziché il riccio, hanno scolpita le teste di Stradivari dell'Hamman, di Mozart e di Beethoven.
Lo stile dei suoi strumenti è prossimo a quello di Romeo Antoniazzi. Tornò a Crema dove morì in miseria.